Degenerazione maculare
legata all’età (AMD o DMLE)
Cos’è?
Cosa provoca?
È causa di un’importante e irreversibile riduzione della funzionalità visiva a livello del campo visivo centrale. Il fenomeno correlato più comune è il processo d’invecchiamento dell’occhio: la macula, contenente numerosi fotorecettori (in questo caso i coni), si altera sino a perdere le sue caratteristiche. Ciò è dovuto alla morte delle cellule retiniche, che può essere lenta e progressiva oppure più rapida.
Quant’è diffusa?
La degenerazione maculare legata all’età (AMD o DMLE) è attualmente considerata la prima causa di cecità nei Paesi di maggior benessere e la terza in assoluto. Indicativamente il 5% della cecità mondiale è dovuto all’AMD, una percentuale che sale al 41% nei Paesi benestanti. Si prevede che nel 2020 circa 196 milioni di persone saranno colpite da degenerazione maculare legata all’età, una cifra che probabilmente è destinata a crescere con quanto più aumenterà l’invecchiamento demografico mondiale (soprattutto nei Paesi di maggior benessere).
In Italia si calcola che siano affette da AMD circa un milione di persone (tra diagnosticate e non). L’incidenza dell’AMD è rara prima dei 55 anni, ma essa aumenta soprattutto dopo i 75 anni. La forma più grave della malattia, detta ‘umida’, è meno frequente ma a più rapida evoluzione.
Quali sono i suoi sintomi?
I sintomi iniziali consistono in una distorsione delle immagini che interessa il centro del campo visivo (ossia dove si punta lo sguardo); difficoltà nella lettura e nello svolgimento di attività a distanza ravvicinata, in cui è richiesta la visione dei piccoli dettagli; perdita della brillantezza dei colori. La degenerazione maculare comporta dunque una severa penalizzazione, ma è bene sottolineare che essa (anche nei casi più gravi) non provoca la cecità totale, in quanto la visione paracentrale e laterale viene conservata. Tuttavia, si tratta di una patologia fortemente invalidante, che può avere anche gravi ripercussioni sul piano psicologico.
EZIOLOGIA
L’eziologia dell’AMD non è stata tuttora dimostrata, ma sono stati evidenziati numerosi fattori di rischio associati alla sua comparsa, quali: età superiore ai 50-55 anni, sesso maschile, fumo di sigaretta, abuso di alcol, diabete mellito, vita sedentaria, dieta povera di vitamine e acidi grassi (omega-3), ipertensione arteriosa, disturbi della coagulazione, esposizione prolungata e ripetuta a sorgenti di luce molto intense. Inoltre è ormai acclarata la familiarità come principale fattore di rischio nello sviluppo della malattia da parte di soggetti con parenti di primo grado che ne sono affetti (l’origine è genetica). Numerosi sono i fattori genetici che sono stati associati a un incremento del rischio di sviluppare la maculopatia. Tra questi, soprattutto i geni CFH e ARMS2: in particolare, la variante del gene CFH (chiamata rs1061170), è stata associata a un aumento di almeno cinque volte del rischio di ammalarsi di AMD. Tra l’altro è possibile effettuare un test genetico mediante tampone orale per conoscere il rischio di ammalarsi di AMD, ma al momento in cui scriviamo la sua affidabilità non è ancora altissima (attorno al 75%).
Uno studio pubblicato a novembre del 2012 individua, inoltre, un meccanismo genetico che, provocando l’aumento di una proteina nella retina (IL17RC), promuoverebbe l’infiammazione della macula e l’attacco, da parte di cellule del proprio stesso sistema immunitario, delle sue cellule (che di conseguenza muoiono).

CLASSIFICAZIONE
Esistono due forme di degenerazione maculare legata all’età (detta anche degenerazione maculare senile), entrambe associate ad alterazioni del microcircolo capillare, tipiche dell’età avanzata: la forma secca (o atrofica) e quella umida (o essudativa); queste andrebbero considerate come due patologie distinte, poiché le loro prognosi e terapie sono del tutto diverse.
La forma secca o atrofica (85-90% dei casi) è caratterizzata da un assottigliamento progressivo della retina centrale, che risulta scarsamente nutrita dai capillari (poco efficienti) e, di conseguenza, si atrofizza (muoiono le cellule nervose fotosensibili), determinando la formazione di una cicatrice in sede maculare con un aspetto a ‘carta geografica’ (aureolare).
L’altra forma di degenerazione maculare, quella più grave e a più rapida evoluzione, è detta umida o essudativa (10-15% dei casi): è complicata dalla formazione di nuovi capillari con una parete molto fragile. Questi vasi sono permeabili al plasma (la parte liquida del sangue) e possono dare origine, quindi, a distacchi sierosi dell’epitelio pigmentato retinico e, nei casi più avanzati, si possono rompere facilmente, provocando un’emorragia retinica. I ripetuti episodi emorragici e di riparazione tissutale sono responsabili della formazione di una cicatrice centrale più o meno esuberante.
Entrambe le forme di degenerazione maculare si accompagnano, a livello maculare, alle drusen, ossia a corpi colloidi: si tratta di depositi di “scarto” di forma irregolarmente rotondeggiante, situati sotto la retina (depositi subepiteliali piccoli e polimorfi). Se ne possono distinguere essenzialmente due tipi: hard drusen (meno gravi) e soft drusen (potenzialmente più nocive per la vista). La cosiddetta fase delle drusen è generalmente priva di sintomi e generalemente non dà origine a riduzione dell’acutezza visiva. A volte si può presentare tuttavia una distorsione centrale delle immagini, principalmente delle linee rette (metamorfopsie).
Secondo uno studio pubblicato su Jama Ophthalmology il 2 aprile 2015, l’età senile e la mutazione di due alleli (CFH e ARMS2) sono i due principali fattori di rischio associati allo sviluppo di drusen di medie dimensioni. “La copresenza di drusen medie e di anomalie nell’epitelio pigmentato retinico – scrivono i ricercatori – è segno di un rischio maggiore di progressione dell’AMD avanzata rispetto alla sola presenza delle drusen di medie dimensioni”.
DIAGNOSI
Durante la visita specialistica l’oculista esamina la parte centrale della retina (esame del fondo oculare ) con uno strumento detto oftalmoscopio e lenti che consentono, dopo aver dilatato le pupille, di osservare la retina centrale. Oftalmoscopicamente le drusen appaiono come piccoli depositi di colore giallastro.
In alcuni casi, per meglio inquadrare la situazione clinica, si eseguono degli esami diagnostici specifici, quali l’ OCT (esame non invasivo che consente di visualizzare i singoli strati della retina) e, quando necessario, l’angiografia con fluoresceina e/o l’angiografia al verde di indocianina. Questi ultimi sono esami fotografici non radiologici che – attraverso l’iniezione in vena di un cosiddetto mezzo di contrasto – consentono di ottenere immagini dettagliate della circolazione sanguigna (nella retina e nella coroide ). Tali indagini consentono allo specialista di fare la diagnosi e di studiare la malattia, oltre a essere una guida preziosa a un eventuale trattamento.
Un esame molto facile da eseguire ed utilissimo per monitorare nel tempo l’evoluzione della patologia è il reticolo di Amsler (una griglia a quadretti con un punto centrale), che consente di riconoscere distorsioni o zone cieche centrali. Uno dei sintomi riferiti dai pazienti è, infatti, una distorsione delle linee rette (righe di un quaderno, linee formate dalle mattonelle del pavimento) in prossimità del centro del campo visivo. In questi casi è importante sottoporsi a un controllo medico oculistico per una diagnosi precisa.
TERAPIA
A seconda che si tratti di una forma secca o umida la terapia è differente. Le forme secche sono considerate generalmente incurabili; tuttavia è possibile, in qualche misura, prevenirle (mediante un corretto stile di vita che va da esercizi fisici regolari a una dieta varia) o, una volta diagnosticata, rallentare la progressione della malattia. Ad esempio, si può ricorrere a integratori alimentari a base di sostanze antiossidanti.
La terapia fotodinamica
La forma umida (essudativa) può essere trattata con terapia fotodinamica, attuata mediante un tipo particolare di laser, previa iniezione endovenosa di una sostanza chiamata verteporfirina che, una volta attivata dalla luce laser, consente l’occlusione selettiva dei nuovi vasi (crea dei trombi che chiudono i capillari nocivi), senza danneggiare il tessuto retinico circostante. Tuttavia può essere effettuata con successo solamente nelle forme subfoveali, cioè sotto la fovea (la regione centrale avascolare della macula) e iuxtafoveali (a 200-500 micron dalla fovea). Spesso sono necessarie ripetute sedute nel tempo e, purtroppo, talvolta la malattia può ripresentarsi a distanza di mesi (recidiva).
Le iniezioni intravitreali
L’altra possibilità terapeutica nelle forme essudative è rappresentata dalle iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF. Si tratta di sostanze che agiscono inibendo la proliferazione di nuovi vasi sanguigni della retina (antiangiogenici), che provocano la comparsa di membrane sottoretiniche e di sanguinamenti. Questi farmaci (bevacizumab*, ranibizumab**, pegaptanib sodico sono i nomi dei principi attivi) permettono, quindi, di ottenere dei risultati nella cura delle degenerazioni maculari essudative con membrane neovascolari non cicatriziali (possono essere somministrate nel caso della forma umida, a più rapido decorso ma meno comune rispetto alla forma secca). La loro somministrazione deve essere effettuata in ambiente sterile, con tutte le norme igieniche tipiche di una sala operatoria. Si può arrivare a ottenere un forte rallentamento dell’evoluzione della malattia; tuttavia, perché il trattamento possa essere efficace va ripetuto per alcuni mesi. Se, invece, il trattamento – somministrato il più delle volte ogni quattro-sei settimane – non dà benefici, ovviamente dovrà essere sospeso.

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