Patologie retiniche

Cataratta
Retinopatia ipertensiva
QUANDO LA PRESSIONE SISTEMICA È ALTA

L’ipertensione sistemica è quella condizione clinica caratterizzata da una pressione arteriosa più o meno alta. È una patologia diffusissima ma, se diagnosticata e curata in modo scrupoloso difficilmente causa danni irreversibili. Essendo una malattia polidistrettuale interessa vari organi, quali il cervello, il cuore, il fegato, il rene e l’occhio.
L’unica parte del corpo umano in cui si possono esplorare i vasi sanguigni è proprio l’occhio: per questo i medici chiedono all’oculista l’esame del fundus oculare per sapere lo stato dei capillari retinici.
La retinopatia ipertensiva rappresenta la manifestazione oculare della ipertensione arteriosa. Essa è caratterizzata da un ampio spettro di alterazioni vascolari retiniche direttamente correlate alla frequenza e al grado di innalzamento della pressione arteriosa sistemica.
La retinopatia ipertensiva viene clinicamente suddivisa in quattro stadi.

La sintomatologia è praticamente silente fino agli stadi 3 e 4, peraltro rari, quando insorgono calo del visus ( stadio 3 ) e disturbi neurologici ( stadio 4 ).
La diagnosi avviene, principalmente, attraverso l’esame del fondo oculare; cosa alla quale, almeno annualmente, un paziente iperteso dovrebbe sottoporsi. La terapia fonda il suo cardine sulla regolarizzazione della pressione sistemica.

Retinopatia diabetica
QUANDO IL DIABETE NON È SOTTO CONTROLLO

La retinopatia diabetica rappresenta un’importante complicanza microangiopatica del diabete mellito. Costituisce la principale causa di cecità legale negli individui di età compresa tra i 20 e i 65 anni di età nei paesi industrializzati. L’incidenza risulta correlata in maniera diretta con la qualità del controllo glicemico e soprattutto con la durata della malattia.

La retinopatia diabetica viene classificata in due forme: RDNP (Retinopatia Diabetica Non Proliferante) e RDP (Retinopatia Diabetica Proliferante).

Nella forma non proliferante le anomalie microvascolari sono tipicamente confinate alla retina e non oltrepassano la membrana limitante interna. I reperti caratteristici della RDNP includono microaneurismi, emorragie intraretiniche, essudati duri, edema retinico, dilatazioni venose, anomalie vascolari intraretiniche (IRMA).

Nella forma non proliferante, la sintomatologia può essere scarsa o nulla. Questo induce il paziente a non sottoporsi ai periodici controlli ponendo le basi per aggravamenti del quadro clinico, successivi. Solo nei casi di edema maculare compare una più o meno severa diminuzione del visus. È importante, quindi, che tutti i pazienti diabetici si sottopongano ad una periodica, e scrupolosa, visita oculistica con esame del fondo oculare.

Nella forma proliferante, causa più frequente di severa riduzione del visus nei pazienti diabetici, sono presenti lesioni fibrovascolari che oltrepassano la membrana limitante interna.

L’incidenza della retinopatia diabetica proliferante è del 30-50% nei pazienti insulino-dipendenti e del 10 % nei soggetti non insulino-dipendenti.

La caratteristica principale di questa forma è la anomala formazione di neovasi in risposta ai fenomeni di ischemia ed ipossia retinica.

Nelle fasi iniziali i neovasi sono silenti, ma la progressiva neovascolarizzazione può sia provocare delle emorragie, sia estendersi al vitreo determinando le cosiddette proliferazioni vitroretiniche. Tali proliferazioni causano disorganizzazione ed emorragie vitreali, con successiva coartazione del corpo vitreo la cui più temibile complicanza, è il distacco di retina trazionale. In questa forma la sintomatologia è variegata. Può essere caratterizzata dalla visione di miodesopsie ( mosche volanti ), in caso di emorragie vitreali, da una grave riduzione del visus, in caso di proliferazioni vascolari ed emorragie interessanti il polo posteriore, fino alla perdita di una o più porzioni del campo visivo, in caso di distacco di retina.

La diagnosi di retinopatia diabetica può essere posta esclusivamente sulla base dei reperti oftalmoscopici in corso di visita oculistica e sugli esami strumentali, principalmente OCT (Tomografica a coerenza ottica) e FAG (Fluoroangiografia). La prima forma di trattamento della retinopatia diabetica consiste nel miglior controllo possibile della glicemia. La glicemia dovrebbe essere mantenuta su valori costanti evitando ampie oscillazioni verso valori elevati o verso le ipoglicemie.

Occlusioni vascolari retiniche
QUANDO IL SANGUE NON ARRIVA ALLA RETINA

Per occlusioni vascolari retiniche, si intendono quell’insieme di quadri patologici caratterizzati dalla occlusione di uno o più vasi, arteriosi o venosi, che irrorano la retina. Le cause riconoscono una natura embolica o trombotica. Per embolo si intende una massa formata da sangue coagulato, gas o materiale cellulare aggregato circolante. Interessa principalmente i rami arteriosi. Per trombo, invece, si intende una massa solida costituita da fibrina contenente piastrine, globuli rossi e bianchi, che si forma per coagulazione del sangue che interessa principalmente i rami venosi. In seguito alla formazione di emboli o trombi, processo denominato embolia o trombosi, si determina una ostruzione al flusso sanguigno con successiva mancanza di apporto di sangue alla porzione di tessuto retinico interessata. Il mancato afflusso di sangue ad un tessuto viene definito ischemia. Quando viene occluso un ramo arterioso, si avrà un’ipoafflusso di sangue, con conseguente sbiancamento del tessuto colpito ( occlusione arteriosa ); quando invece si occlude un ramo venoso, si avrà uno stravaso di sangue diffuso, emorragia a scoppio di granata, o localizzato. L’ischemia, sia arteriosa che venosa, innesca una serie di processi riparativi da parte del tessuto colpito atti a fronteggiare la mancanza di sangue e quindi di tutte le sostanze nutritive necessarie. Il primo fenomeno è l’edema retinico, secondario allo squilibrio idroelettrolitico, che apparirà come un sollevamento del tessuto retinico. Successivamente, le cellule danneggiate, rilasceranno mediatori infiammatori e fattori di crescita che stimoleranno la formazione di neovasi atti a ripristinare il flusso sanguigno alterato, fase della neovascolarizzazione.

Questi neovasi sono anarchici e più fragili; nel senso che non seguono la normale citoarchitettura dei vasi normali, e tendono facilmente a sanguinare. Tutto ciò comporta l’instaurarsi di un circolo vizioso, neovaso-emorragia-neovaso, che porta alla morte del tessuto retinico. La diagnosi è affidata all’esame del fondo oculare, all’OCT nel caso di edema maculare ed alla fluorangiografia la quale metterà in evidenza, attraverso la raccolta del colorante (likage), la presenza di zone ischemiche. L’unica strategia terapeutica è costituita dalla fotocoagulazione laser. Tale procedura prevede l’utilizzo di un laser il quale ha lo scopo di “bruciare” le zone ischemiche al fine di non far rilasciare mediatori neoangiogenetici e quindi impedire la formazione di neovasi. A seconda del distretto vasale distinguiamo occlusioni arteriose e venose.

Le occlusioni arteriose retiniche sono patologie gravi ed invalidanti: è sufficiente un’interruzione dell’afflusso di sangue arterioso alla retina per 10-20 min per causare lesioni irreversibili. La maggioranza delle occlusioni è di natura trombotica o embolica: oltre due terzi delle occlusioni di branca e circa un terzo di quelle centrali sono provocate da emboli.

Le occlusioni arteriose retiniche possono essere divise, in base al sito d’occlusione, in centrali e di branca.

L’occlusione della arteria centrale. È una patologia rara, che colpisce più frequentemente il sesso maschile rispetto al femminile. L’età media di insorgenza è circa 60 anni ed è bilaterale solo nell’1-2% dei casi. In un quarto dei casi si riscontra la presenza di un embolo, a partenza generalmente cardiaca o carotidea. Altre cause possono essere: arterite di Horton, vasculiti infiammatorie, neuriti ottiche, drusen del nervo ottico. Si riconoscono come fattori di rischio l’ipertensione arteriosa, il diabete e le coagulopatie sistemiche. Il quadro clinico è caratterizzato dalla perdita improvvisa della vista, non dolente e talora preceduto da episodi di amaurosi fugace (cecità temporanea).

Occlusione retinica di branca. L’età media dei pazienti affetti è 60 anni, più del 50 % delle occlusioni arteriose di branca sono secondarie ad emboli di provenienza cardiaca o carotidea. Vi sono casi di occlusioni di branca multiple, ricorrenti e bilaterali in pazienti più giovani, secondarie ad alterazioni sistemiche della coagulazione, vasculiti sistemiche od una microangiopatia del sistema nervoso centrale.

Il quadro clinico è caratterizzato da un’improvvisa perdita parziale della vista in assenza di dolore. L’entità del deficit visivo è variabile e dipende dalla localizzazione dell’ostruzione. L’acuità visiva centrale è generalmente preservata. All’esame oftalmoscopico si osserva uno sbiancamento retinico in corrispondenza dell’area ischemica, spesso associato ad un embolo visibile. Non esiste alcun trattamento, tuttavia la prognosi visiva è buona.

L’occlusione venosa retinica è la seconda patologia vascolare più frequente a livello oculare dopo la retinopatia diabetica. Si manifesta generalmente in soggetti con età superiore ai 50 anni e a seconda della localizzazione dell’ostruzione si distinguono occlusioni venose centrali o di branca.

Occlusione della vena centrale della retina: Frequentemente si trovano associate ad esso patologie sistemiche quali ipertensione arteriosa, il diabete mellito, le discrasie ematiche, il glaucoma cronico semplice o ad angolo chiuso. L’occlusione venosa centrale può essere distinta in una forma ischemica ed una forma non ischemica. Questa classificazione è utile nel definire la gestione dei pazienti, perchè fino a due terzi dei soggetti affetti dalla varietà ischemica sviluppano una neovascolarizzazione iridea ed un glaucoma neovascolare.

Forma non ischemica. È la forma più lieve e frequente, riscontrabile nel 75% dei casi. L’acuità visiva alla diagnosi è moderatamente ridotta. All’oftalmoscopia nella fase acuta di apprezza una tortuosità delle vene retiniche associata ad emorragie puntiformi e a fiamma localizzate in tutti e quattro i quadranti retinici. Spesso si osserva un rigonfiamento della testa del nervo ottico ed un edema maculare che può essere cistoide. I reperti clinici possono scomparire completamente nei 6-12 mesi successivi all’occlusione ed il fondo oculare può apparire normale. Di solito si sviluppano microaneurismi. La diagnosi si basa sul riscontro dei reperti oftalmoscopici caratteristici. La fluorangiografia evidenzia colorazione lungo le vene retiniche, microaneurismi, dilatazione dei capillari della testa del nervo ottico. La non perfusione capillare retinica è minima o assente.

Le cause più frequenti di riduzione dell’acuità visiva sono la persistenza dell’edema maculare, le alterazioni pigmentarie maculari e le membrane epiretiniche. Una OVCR non ischemica può trasformarsi nella varietà ischemica. Raramente, nel 10% dei casi si assiste, ad un completo recupero funzionale.

Forma ischemica. Rappresenta il 20-25% di tutte le occlusioni venose retiniche centrali. L’acuità visiva all’esordio è ridotta. Oftalmoscopicamente nella fase acuta si osservano emorragie retiniche diffuse nei quattro quadranti ed al polo posteriore. Le vene retiniche appaiono dilatate e tortuose ed il disco ottico in genere è edematoso. Sono presenti numerosi noduli contonosi e talvolta può svilupparsi un edema maculare diffuso. I reperti oculari possono attenuarsi o sparire nella fase cronica. Le alterazioni permanenti comprendono alterazioni del pigmento maculari, membrane epiretiniche, fibrosi sottoretinica ed ischemia maculare. La neovascolarizzazione del segmento anteriore interessa il 60% dei pazienti, con conseguente glaucoma neovascolare. La diagnosi di OVCR ischemica si basa sui reperti oftalmoscopici. La fluorangiografia è il test diagnostico più utile per la valutazione dell’ischemia maculare e delle principali complicanze della malattia, la neovascolarizzazione del segmento anteriore e l’edema maculare. Non appena si repertano neovasi a livello del segmento anteriore è indicata una fotocoagulazione laser panretinica. La prognosi visiva finale nei pazienti affetti da OVCR appare correlata all’acuità visiva iniziale: in genere più del 90% dei pazienti presenta un’acuità visiva finale pari od inferiore a 1/10. Nessun trattamento si è rivelato efficace nel modificare la prognosi visiva dell’OVCR.

Occlusione venosa di branca. In questo caso l’occlusione interessa solo una diramazione della vena centrale retinica e colpisce più frequentemente i vasi temporali. Esse sono più frequenti delle occlusioni centrali. Generalmente si manifestano a livello degli incroci artero-venosi dove l’arteria e la vena presentano una tonaca avventizia comune e molto probabilmente la vena subisce in questo punto una compressione da parte dell’arteria. Il flusso vascolare turbolento e le alterazioni endoteliali determinantesi, provocherebbero la formazione del trombo e l’occlusione venosa.

Maculopatie
QUANDO IL PROBLEMA È AL CENTRO DELLA RETINA

Rappresentano tutti quei quadri caratterizzati da una sofferenza, più o meno accentuata, della macula cioè della porzione più centrale della retina che, possedendo la più alta concentrazione di coni, è responsabile della visione diurna, chiara e distinta.

Delle forme ereditarie la distrofia maculare di Stargardt è la più frequente. Solitamente è ereditata con modalità autosomica recessiva. Può manifestarsi nella prima decade di vita o in età adulta. Il quadro clinico è molto variabile, i pazienti possono presentare inizialmente anomalie oftalmoscopiche minime che poi si accentuano nelle fasi più avanzate. Non esiste alcun trattamento.

Corioretinopatia Sierosa Centrale (CSC) è una condizione patologica caratterizzata dalla presenza di un distacco sieroso del neuroepitelio maculare dalla coroide dovuto ad un accumulo di liquido al polo posteriore.

Insorge, generalmente, in soggetti con età compresa tra 20 e 45 anni ed il sesso maschile è più colpito rispetto al femminile in rapporto 10:1.

Riconosce un’eziopatogenesi multifattoriale, basata su fattori genetici, ambientali e comportamentali. In corso di CSC le forze che normalmente determinano il passaggio di liquido dalla coroide al neuroepitelio sono alterate e ciò causa il distacco sieroso del neuroepitelio maculare.

I fattori di rischio sono rappresentati dal sesso maschile, dall’ipermetropia, dalla terapia steroidea sistemica e da alterazioni ormonali, quali quelle riscontrabili in gravidanza e nei pazienti stressati e con morbo di Cushing.

La CSC è, in genere, una patologia autolimitante ed il tempo medio di risoluzione è da 1 a 6 mesi. La funzione visiva finale è generalmente buona ma recidive avvengono nel 50 % dei soggetti.

Non esiste una terapia efficace nel migliorare il decorso e la prognosi visiva a lungo termine.

Degenerazione Maculare Legata all’Età (DMLE) È la causa più comune di cecità legale tra i soggetti ultrasessantenni nei paesi industrializzati. Uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo e la progressione della DMLE oltre all’età è il fumo di sigaretta, che aumenta di 2,4 volte il rischio di sviluppare la malattia. Colpisce più frequentemente la razza caucasica.

La patogenesi esatta non è conosciuta, è una condizione patologica multifattoriale in cui la componente genetica sembra giocare un ruolo importante.

In base alle caratteristiche clinico-evolutive, la degenerazione maculare legata all’età può essere classificata in una forma non neovascolare (secca o atrofica) ed in una forma neovascolare (umida o essudativa).

DMLE non neovascolare. L’incidenza della forma secca o atrofica aumenta in maniera costante dopo i 50 anni di età; più di 1/3 dei soggetti con età superiore ai 90 anni ne è affetta. Non sembra esserci differenza tra i due sessi.

DMLE neovascolare. Essa è caratterizzata dalla proliferazione di vasi sanguigni anomali che originano dalla coroide. La neovascolarizzazione coroideale (NVC) costituisce la causa principale della grave diminuzione dell’acuità visiva.

Il quadro clinico all’esordio è caratterizzato da un’improvvisa riduzione dell’acuità visiva, metamorfopsie (visione distorta), scotoma centrale positivo e annebbiamento della visione centrale.

La diagnosi è condotta mediante l’esame oftalmoscopico, l’OCT e la Fluorangiografia.

Dal punto di vista terapeutico molti passi avanti sono stati fatti grazie all’efficacia di inibitori dell’angiogenesi e di steroidi somministrati in sede intravitreale.

Membrane epiretiniche maculari: Sono membrane fibrocellulari che si formano sulla superficie retinica interna in regione maculare. Si distinguono membrane idiopatiche o primitive e membrane secondarie (queste ultime possono essere il risultato di infiammazioni oculari, emorragie vitreali di lunga durata o di trattamenti chirurgici).
L’età di insorgenza è generalmente intorno ai 50 anni, è più colpito il sesso femminile rispetto o al maschile e nel 20-30% dei casi le membrane sono bilaterali.

La forma più lieve della malattia, è caratterizzata dalla presenza di una membrana sottile “a cellophane” che non determina distorsioni della superficie retinica ma si rende visibile come un anomalo riflesso traslucido. I pazienti in questo caso sono asintomatici e l’acuità visiva è preservata.

Se la membrana si contrae ulteriormente si formano delle pieghe retiniche che assumono una disposizione radiale intorno alla membrana (pucker maculare). A causa della trazione possono verificarsi edema maculare ed emorragie pre o intraretiniche, occasionalmente anche fori maculari.

La diagnosi è clinica, basata sull’esame oftalmoscopico ma si avvale dell’ausilio della fluorangiografia e dell’OCT.

L’unico trattamento efficace è chirurgico, rappresentato dalla vitrectomia via pars plana con peeling della membrana limitante interna che deve essere effettuata solo nei casi in cui si assista ad una progressiva e grave riduzione dell’acuità visiva.

Il foro maculare è un difetto a tutto spessore del tessuto retinico in regione maculare. È caratterizzato, fondamentalmente, dalla perdita di uno o più strati di retina neurosensoriale. La maggioranza dei fori maculari è idiopatica. Si ritiene però che essi siano causati da una trazione vitreomaculare tangenziale dovuta ad un raggrinzimento focale della corteccia vitreale prefoveale.

I pazienti lamentano una riduzione dell’acuità visiva, variabile a seconda dello stadio evolutivo della malattia, spesso si associano metamorfopsie o uno scotoma centrale.

L’unico trattamento efficace è chirurgico: la vitrectomia via pars plana con peeling della membrana limitante interna.

L’edema maculare cistoide: È un edema intraretinico extracellulare, che si può localizzare negli strati interni della retina, quando riconosce un’eziologia vascolare, oppure negli strati esterni della retina, quando la patologia causale è a carico della coroide o dell’epitelio pigmentato.

Raramente l’edema maculare cistoide è primitivo e compare isolato nel quadro di una degenerazione maculare ereditaria a trasmissione autosomica dominante. Il più delle volte è secondario a numerose affezioni oculari: uveiti croniche e recidivanti, tumori, traumi, retinopatia diabetica, occlusioni venose, angiomatosi , distacco sieroso dell’EPR, neovasi sottoretinici, vasculiti e postumi di intervento per cataratta, nel qual caso prende il nome di sindrome di Irvine- Gass. L’edema maculare cistoide alla fine della sua evoluzione si può trasformare in una cicatrice fibrosa o può portare a formazione di pseudo-foro maculare, per rottura dell’edema stesso.

Retinite pigmentosa
QUANDO IL PROBLEMA INTERESSA LA MEDIA E L’ESTREMA PERIFERIA RETINICA

Essa comprende un gruppo di disordini ereditari che coinvolgono i fotorecettori e l’EPR e sono caratterizzati da:

  • difficoltà nella visione notturna (nictalopia);
  • restringimento progressivo del campo visivo;
  • pigmentazione del fondo a spicole ossee;
  • evidenza di disfunzione fotorecettoriale agli esami elettrofunzionali.

La caratteristica principale di tale malattia sta nel fatto che le strutture coinvolte nel processo degenerativo sono i bastoncelli principalmente localizzati nella media ed estrema periferia e scarsamente rappresentati nella macula, dove vi è la più alta concentrazione di coni. Mentre i coni sono responsabili della visione diurna ( fotopica ), chiara e distinta, i bastoncelli entrano in azione principalmente nella visione crepuscolare ( mesopica ) o con scarsa illuminazione ( scotopica ) permettendo di avere una ottima visione al tramonto o di sera. In virtù di ciò la sintomatologia è dominata nelle fasi iniziali da una perdita della visione periferica, per sofferenza delle porzioni periferiche della retina, e da disturbi del visus al tramonto (emeralopia) e di sera ( nictalopia). Con il progredire della malattia permane l’emaralopia e la nictalopia e progredisce la perdita del campo visivo periferico con conservazione della visione centrale, garantita dai coni maculari. Tale situazione viene riferita dal paziente come “…vedere attraverso un cannocchiale…”. Nelle fasi più tardive, infine, il processo degenerativo coinvolge anche i coni, con grave diminuzione visiva centrale.

Degenerazioni retiniche periferiche
QUANDO IL PROBLEMA COINVOLGE LA PARTE “NASCOSTA” DELLA RETINA

Le degenerazioni retiniche periferiche sono situazioni patologiche caratterizzate da alterazioni morfologiche e strutturali che interessano la porzione periferica della retina. Insorgono soprattutto nei pazienti miopi in cui si verifica un progressivo assottigliamento degli strati retinici periferici. Si distinguono in degenerazioni retiniche regmatogene e non regmatogene. Le prime sono così definite in quanto è frequente il rischio di rottura della retina con possibile successivo distacco secondario all’infiltrazione del liquido vitreale attraverso la soluzione di continuo creata, con progressivo scollamento degli strati retinici; quelle non regmatogene, invece, sono benigne in quanto non portano a rottura retinica e, nemmeno, al distacco di retina.
Le degenerazioni retiniche regmatogene, in cui è presente una trazione del vitreo sovrastante l’area di assottigliamento, comprendono: la degenerazione a lattice o a palizzata, la degenerazione a bava di lumaca, la retinoschisi degenerativa ed il bianco con o senza pressione.

Le degenerazioni retiniche non regmatogene, in cui non si osserva una trazione vitreale in prossimità dell’area di assottigliamento, vengono distinte in: degenerazione cistoide, degenerazione a fiocchi di neve, degenerazione pavimentosa, degenerazione a favo d’api, drusen periferiche e degenerazione pigmentaria orale.

Per quanto riguarda la sintomatologia molto spesso le degenerazioni retiniche periferiche risultano asintomatiche a meno che non si sia già verificato un distacco di retina. Tuttavia circa il 60% dei pazienti riferisce fotopsie (sensazioni soggettive di lampi di luce); con il progredire delle lesioni retiniche si nota una riduzione del campo visivo periferico che progressivamente può evolvere fino a coinvolgere la visione centrale.

Per la diagnosi, tali lesioni vengono solitamente riscontrate durante una visita oculistica completa ed accurata mediante l’esame del fondo oculare. Per quanto riguarda il trattamento, le degenerazioni retiniche non regmatogene non necessitano di alcuna terapia in quanto non portano ad alcuna complicanza anche se devono essere seguite nel tempo attraverso controlli periodici. Invece, le degenerazioni retiniche regmatogene hanno un maggior rischio di condurre ad un distacco di retina. Di conseguenza la scelta terapeutica è rappresentata dal trattamento fotocoagulativo con argon laser ( barriage) che consiste nel demarcare ed isolare l’area di degenerazione retinica attraverso degli spot di laser che creano una reazione cicatriziale solida attorno alla lesione in modo da evitare una sua progressione; tale procedura può anche essere effettuata quando siano già presenti rotture retiniche senza distacchi. Il trattamento è solitamente risolutivo anche se ciò non impedisce la formazione di altre lacerazioni. Nel caso in cui sia già presente un distacco di retina l’unica terapia è quella chirurgica.

Chirurgia della cataratta
QUANDO GLI STRATI RETINICI SI SEPARANO

Il distacco di retina è caratterizzato dalla completa separazione della neuroretina dall’EPR sottostante. In base al meccanismo patogenetico, se ne distinguono 4 tipi:

  • regmatogeno;
  • trazionale;
  • essudativo;
  • combinato.

La sintomatologia comune a tutti i tipi di distacchi di retina è caratteristica. Quando il distacco è localizzato in una zona periferica, i sintomi possono essere assenti e la diagnosi viene posta o casualmente, durante una visita rutinaria, oppure quando la situazione progredisce in modo grave. Quando, invece il distacco interessa le zone del polo posteriore e della media periferia, la sintomatologia è caratterizzata da calo del visus accompagnato da miodesopsie ( mosche volanti) e metamorfopsie ( immagini distorte ). La maggior parte dei pazienti riferisce di vedere come “ attraverso una bottiglia di acqua piena”.

Il distacco di retina regmatogeno è causato dal passaggio di liquido dal vitreo allo spazio sottoretinico attraverso una rottura retinica.

Colpisce ogni anno circa 1 persona su 10.000 e nel 10% circa dei casi coinvolge entrambi gli occhi. Le rotture retiniche responsabili del distacco derivano dalla combinazione di due fattori: una trazione vitreoretinica dinamica ed una sottostante degenerazione predisponente quali degenerazione a lattice, a bava di lumaca, retinoschisi degenerativa o atrofia corioretinica diffusa.

Condizioni predisponenti sono la miopia patologica, la pseudofachia e l’afachia, i traumi oculari penetranti e contusivi. Circa il 50% dei pazienti lamenta un’improvvisa comparsa di miodesopsie e fotopsie. Con la progressione del distacco i pazienti riferiscono la perdita di una intera porzione di campo visivo (scotoma) corrispondente alla zona opposta alla posizione del distacco. Talvolta il distacco può essere asintomatico. All’esame oftalmoscopico si apprezza la presenza nel vitreo e/o nel segmento anteriore di aggregati di cellule pigmentarie (polvere di tabacco). La retina distaccata appare raggrinzita e mobile anche se nei distacchi di lunga data può divenire liscia. Generalmente l’occhio interessato ha una pressione intraoculare inferiore rispetto al controlaterale.

La diagnosi è condotta mediante oftalmoscopia ed ecografia oculare nel caso in cui i mezzi diottrici non siano trasparenti.

Il trattamento del distacco è chirurgico ed ha lo scopo di determinare un riaccollamento tra la neuroretina e l’EPR.

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